E’ morto Germano Nicolini, partigiano “Al Dievel”: aveva 101 anni

Il 25 aprile, che l’Italia festeggiò chiusa in casa, espresse un auspicio: “L’importante è che, anche da una tragica vicenda come questa, impariamo a migliorarci, come persone, come comunità e come nazioni.

La democrazia non è una conquista certa per sempre, va coltivata e devono esserne sostenuti i principi, giorno dopo giorno, non solo negli enunciati ma anche e soprattutto nei comportamenti e nel rispetto di quei valori che ci hanno consentito di conquistarla 75 anni fa”.

Germano Nicolini, al Dievel, il Diavolo, comandante partigiano, quella democrazia all’Italia l’ha consegnata durante la Resistenza: sabato sera, a quasi 101 anni, è morto a Correggio, in provincia di Reggio Emilia.

Si unì alla lotta partigiana dopo essere stato catturato a Roma dai nazisti: fuggì dalla prigionia ed entrò nel battaglione Sap della brigata Fratelli Manfredi.

Perché Diavolo? Per una fuga spettacolare dai tedeschi: “Ero in bicicletta, disarmato, in una zona che credevo sicura. I tedeschi sbucarono da un argine. Mi buttai giù e corsi zigzagando tra gli alberi, mentre quelli sparavano all’impazzata. Da una finestra due sorelle, nostre staffette, esclamarono: L’è propria al dievel“.

 

Nel Dopoguerra divenne sindaco di Correggio – Comune che aveva liberato – ma venne arrestato nel 1947, accusato dell’omicidio di un prete, don Umberto Pessina, e quindi condannato a 22 anni. Ne scontò 10 da innocente e solo grazie a un indulto.

Solo nel 1994 emerse chi era il vero assassino: William Gaiti (che oggi è morto) il quale confessò dopo che la lettera al Resto del Carlino “Chi sa parli” del comandante partigiano ed ex deputato Otello Montanari aprì uno squarcio sul cosiddetto “Triangolo della morte”, dove numerosi uomini di chiesa vennero uccisi da partigiani comunisti.

Così Diavolo e altri due partigiani, Antonio Prodi, detto Negus, ed Ello Ferretti, Fanfulla, furono scagionati e infine assolti nel processo di revisione celebrato a Perugia. Gli chiesero cosa pensava dei vertici del Pci che sapevano chi era il vero autore del delitto: “Perdonarli? Non si può usare la parola perdono. Ero un bersaglio facile, un giovane sindaco di paese. Hanno colpito me perché si faticava ad accettare che si parlasse di riconciliazione“.

Il cordoglio dell’ex senatrice Albertina Soliani e dell’Istituto  Cervi in una lettera al figlio.
«Carissimo Fausto,siamo vicini a te e alla tua famiglia con grande affetto.

Tutta la vita di tuo padre Germano è una lezione morale, civile e democratica per tutti noi e per le generazioni a venire.

Il suo legame profondo con la verità, la libertà della coscienza, la responsabilità verso gli altri, verso le istituzioni e verso la Repubblica sono un patrimonio che vogliamo custodire per sempre.

Addio, Germano. Grazie per quello che sei stato e quello che continuerai ad essere. Un grande abbraccio»

 

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